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I piatti della festa
La figura di San Pietro è inevitabilmente collegata ai quartieri marinai delle città costiere, popolati da marinai, pescatori e pescivendoli che ogni 29 di giugno onoravano degnamente San Pietro, pescatore pure lui.

Pietro, poco istruito e di famiglia umile, aveva svolto il mestiere di pescatore fino al giorno in cui non sentì il richiamo di Gesù e della dottrina nascente che lo avrebbe mutato in «pescatore di uomini». Il suo nome, nel Nuovo Testamento, ricorre sotto varie forme: le greche Simeon, Simon, Kephas (aramaico Kepha ‘roccia’) e Petros, equivalente al latino Petrus, traduzioni del soprannome aramaico impostogli da Gesù: «Ed io dico a te, che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa». Morì a Roma, in data imprecisata che va dal 55 al 67, crocifisso a testa in giù sul Monte Vaticano.

Fra i giochi popolari che si svolgono a Sciacca (ma anche in altri luoghi come Pantelleria) in onore di S. Pietro, sembrerebbe di intravedere una relazione col suo mestiere di pescatore nella 'ntinna a mmari, un albero della cuccagna con all'estremità una bandiera, che viene insaponato e sospeso sul mare. Vince la gara chi riesce a impossessarsi della bandiera.

Tradizione voleva che per San Pietro non mancasse mai il pesce in tavola. Si comprava l’ultimo tonno dell’anno. Naturalmente c’erano sarde e sgombri, oppure l’economico baccalà per i meno abbienti; mentre pescespada, tonno, cernia e aragosta arricchivano mense patrizie.

Pitrè scrive che a Palermo, era «un dovere di galateo amoroso» regalare alla fidanzata, il giorno della festa, delle «chiavi di pasta melata, di pasta e mandorle, di torroncino, di cannella di altro dolciume». Sono le chiavi di San Pietro un dolce povero di farina e miele con tanta colorata “diavolina" sopra: serviva per aprire il loro cuore, oppure per fare aprire alle più innamorate la porta di casa, magari di notte.

San Pietro in Sicilia: il santo della marineria

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