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I piatti della festa
Cacioppo descrive nel 1832 una usanza tutta siciliana, anzi palermitana, tipica della festa di Sant'Antonio abate: «Nel giorno di Sant’Antonio abate, coloro che han premura pei cavalli, muli ed altri animali, rimandano in chiesa di questo santo, ornati di ciocche di nastri a varii colori, e di sonagli attaccati alla criniera, che ad ogni lieve scossa tintinnano, e quando sono raccolti al tempio escono i Preti a benedirli». Già Goethe ne era rimasto colpito, tanto è vero che nel suo diario, alla data del 18 gennaio 1787, così scrive da Palermo: «Sant’Antonio abate è il patrono delle creature a quattro zampe e la sua festa diventa, in città, un saturnale delle bestie normalmente addette a portare la soma, nonché dei guardiani e dei conducenti. Tutti i padroni devono starsene in casa oppure girare a piedi, e non ci si stanca mai di raccontare qualche brutta storia di signori miscredenti che, avendo obbligato i loro cocchieri ad attaccare gli equipaggi, sono stati puniti con gravi sciagure. Cocchieri devoti portano ceri grandi e piccoli, i signori inviano elemosine e doni affinché per tutto Tanno le preziose ed utili bestie siano preservate da malanni. Asini e bestiame cornuto, oggetto di non minori cure, beneficiano di questa distribuzione di grazie».

Nell’antica pietas siciliana, il periodo che precedeva primavera, a metà gennaio all'incirca, era contrassegnato da cerimonie purificatrici di animali e terre. Aveva funzione lustrale e fecondante in vista della primavera che nell’Isola si fa annunziare dal fiorire del mandorlo. A Demetra si offriva la “burranica” di latte e mosto cotto, e si sacrificava una scrofa gravida, mentre le giovenche, impiegate nei lavori campestri, inghirlandate di fiori, si lasciavano a riposo.Come succede per molte delle feste religiose siciliane, anche quell antica cerimonia propiziatoria fu riciclata, in chiave cristiana, con la festa di Sant’Antonio.

Patriarca del monachesimo, Antonio visse in Egitto fra il 251 e il 356. Lasciò una casa agiata all’età di venti anni e nel basso Egitto passò la sua vita tra la preghiera, lo studio e il lavoro manuale. Subì tentazioni fisiche e spirituali pur vivendo in una grotta sul monte Coltzum all’estremità nord-occiden-tale del mar Rosso. Il suo discepolo Sant’Atanasio di Alessandria ne scrisse la biografia con dovizia di particolari e curiosi dettagli.

Sant’Agostino nelle Confessioni lo ricorda come «suscitatore di vocazioni» e uomo ricco di grande saggezza. Fu anche ispiratore di un’abbondante letteratura in cui, in seguito, sono stati esagerati il ruolo dei demoni tentatori e una certa tendenza al meraviglioso.

Pure Gustave Flaubert cedette al suo fascino scrivendo il celebre Les tentations de Saint Antoine.

Pare che sia morto il 17 gennaio dell’anno 356, per cui leggende e usi legati alla sua festa dipendono non tanto dalla sua figura storica, quanto dalla collocazione nel calendario. Vi trasmigrarono, infatti, tutti quei riti che rappresentavano l’identità e la cultura dei nostri avi contadini e pastori: "Sant Antonio la gran friddura/San Lorenzu la gran calura/L'unu e l'autru picca dura." Cioè: il grande freddo di Sant’Antonio e la grande calura di San Lorenzo durano poco.

Popolarmente è conosciuto come Sant’Antonio “del porco” per via di quel maialino che, nell’iconografia ufficiale, si porta sempre dietro. Secondo molti studiosi quel porcello prova il legame sotterraneo che lega questa festa ai culti pagani dell inverno: anche Cerere aveva un maialino al seguito.

Sembra però che, in origine, fosse un cinghiale, attributo di una divinità celtica che lo portava in braccio. Successivamente, demonizzato il cinghiale troppo pagano, si creò la storiella della guarigione del maialino che prese a seguirlo come un cane. Quel porcellino però deve la sua fama all ospedale parigino di Saint Antoine. Infatti, a partire dal XII secolo fu proibita la libera circolazione dei maiali che trovavano da mangiare tra i rifiuti delle vie di Parigi, eccezion fatta per quelli allevati dall’ospedale e che servivano per nutrire i degenti. Curiosamente il nostro santo finì come protettore dei fabbricanti di spazzole. Ma se lo contendono, ancora oggi, i macellai, i fabbricanti di marmellate, i mietitori, i guardiani di porci, i tessitori, i notai e i tosatori di cani.

Ad ogni modo il maiale divenne protagonista dei grandi riti gastronomici della festività. Cotto intero al forno, magari farcito, o sotto forma di costatine o di salsiccia.Era pure il momento, tanto atteso nelle taverne, per le “fave a cunigghiu” (a coniglio...), cioè fave secche lessate e servite con un filo d’olio d’oliva e tanto origano.

Non mancarono i dolci rituali, ci ricorda Pitrè che «sotto la tutela di Sant’Antonio il popolo ha messo il maiale e per tutta la Città di Palermo, qualche giorno innanzi la Festa, si vendono paste dolci in forma di maiali, di grandi e piccole dimensioni».

Sant'Antonio in Sicilia: il Santo del bestiame

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