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I piatti della festa
È la seconda solennità delle celebrazioni pasquali, parte di quei cinquanta giorni che andavano sotto il titolo di "Beata Pentecoste”. Negli Atti degli Apostoli (1,3-9) è scritto che, dopo aver subito la Passione, Gesù apparve vivo, in carne e ossa, agli Apostoli per ben quaranta giorni. Proprio al quarantesimo gli chiesero: «Signore, è questo il tempo in cui ricostruirai il regno d’Israele?». E così rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e sarete testimoni a Gerusalemme, in Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra». Dette queste parole volò in alto sotto i loro sguardi stupefatti finché una nube non lo sottrasse alla loro vista. Così è scritto.

È per questo motivo che quaranta giorni dopo la Pasqua si cominciò a celebrare questa “Ascensione”, già a partire dal IV secolo. Non è però festa di precetto per cui può essere spostata anche alla settima domenica dopo Pasqua. Questa festa, in ogni caso, celebra il momento del trionfo cosmico di Cristo. Nella Lettera agli Efesini San Paolo scrisse che Dio «lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei Cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione. Tutto ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose Capo della Chiesa che è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza in tutte le cose».

Una volta la religiosità popolare attribuiva all’Ascensione la stessa sacralità di Natale e Pasqua. Era, infatti, una specie di anello di congiunzione fra le cose del cielo e quelle della terra. Per i siciliani fu la “notte della Scèusa” perché si diceva che allo scoccare della mezzanotte un angelo scendeva a benedire le acque (dolci e non) dotandole di poteri taumaturgici.

La Marina palermitana diventò una specie di Lourdes. Anche se per una sola notte. Sciancati, guerci, storpi, malati di ogni ordine e specie, venivano tuffati in quelle benefiche acque non ancora inquinate. Ma non solo gli uomini beneficiavano di quelle acque portentose. Pure pecore e capre che, per l’occasione, venivano portate a fare il bagno a mare. Scrisse nel 1882 Enrico Onufrio: «Codesta consuetudine, cioè di condurre gli armenti al mare nella notte dell’Ascensione, può dirsi davvero che si perda nel buio dei secoli; sembra rimonti all’epoca dei patriarchi... Le greggi discendono da Porta Nuova per tutto il Corso, e poi si fermano al Foro Italico, presso alla riva... Il vasto marciapiedi è tutto illuminato a festa, sparso di baracche e di fornelli ambulanti, dove si scaldano delle focacce». Aggiunge Salamone Marino: «Tutti vogliono far entrare nell’acqua gli animali a mondarli e guarirli da reali o supposte infermità, a preservarli da quelle altre che possibilmente potrebbero avere nell’anno. E qui, alla dubbia luce notturna, la confusione attinge il colmo; tanto più che gli animali sono restii a quel freddo insolito bagno e ricalcitrano e fuggono, mentre i padroni ve li spingono a forza in tutt’i modi, per diritto, di sbieco, a ritroso, cavalcandoli, tirandoli, spingendoli, sollevandoli di peso».

In ogni angolo di Sicilia si svolgevano processioni che partivano a mezzogiorno in punto perché si riteneva fosse quella l’ora esatta in cui gli Apostoli avevano accompagnato Gesù al Monte degli Ulivi, dove era avvenuta la sua salita al cielo.

Accanto all’acqua purificatrice conviveva il fuoco; sebbene sia ormai scomparsa la fumata che «procura sanità e prosperità agli animali e alle piante e abbondanza e bellezza delle produzioni campestri; e come attira la protezione e benedizione del Cielo sui campi, così pur l’attira su le case» (Salomone-Marino), fino a agli anni Sessanta, la sera della vigilia, si usava fare a Siracusa, e nel Siracusano, il falò (fucàta, vampanìgghia o pampanìgghia a Siracusa; faràta a Lentini, Carlentini, Sortino) con il tradizionale salto dei ragazzi.

Non mancavano i giochi popolari come l’albero della cuccagna, i pignatèddi e a cursa chê sacchi. La scampagnata era d’obbligo in tutta la Sicilia, come d’obbligo era l’altalena (vòcula, vòcula-nzìcula, vocanzìta, vocanzìtula) che, scriveva Vincenzo Dorsa, «appo i Greci era un giuoco simbolico di purificazione» .

A Vita si celebra la festa della Madonna di Tagliavia. Le origini della festa risalgono al XIX secolo quando, per l'Ascensione, i contadini conducevano il bestiame al Santuario di Tagliavia, a Corleone, per ottenere la benedizione degli animali. Il momento clou della festa si ha nel pomeriggio, quando per le vie del paese sfilano il "carro del vino e delle olive", la "cavalcata", il "carro dei Burgisi" e la "carrozza del pane".

Sui balconi fioriti e per le strade affollate vengono lanciate buste di vino e di olive, confetti e soprattutto i caratteristici cucciddati, tipico pane la cui lavorazione zigzagata ricorda i solchi della terra dopo l'aratura.

La festa è stata da sempre meta dei pii carrettieri della Sicilia occidentale. Migliaia di carretti e calessi convenivano nella vasta conca che sta di fronte al celebre Santuario. Alla fine del Settecento si rinvenne da quelle parti una sacra immagine di «Nostra Signora del Rosario posta a sedere, ed Essa inchinata, porge con la destra una corona del rosario al patriarca San Domenico e a Santa Caterina da Siena, posti genuflessi d’ambo i lati». Così venne descritta quella icona che, nel luogo stesso dei ritrovamento, per ringraziare, fece sgorgare una sorgente con acque miracolose, benefiche sia per uomini che per armenti. Riaffiorano quindi il mito delle acque salvifiche dell’Ascensione e il motivo di quel pellegrinaggio. Che dovette avere effetti salutari vista la quantità di ex voto: PGR, per grazia ricevuta.

Si staccavano i cavalli e attorno ai carretti, con le aste rivolte verso il cielo, si attaccavano lenzuola bianche che li trasformavano in tende. Un vero accampamento beduino: cavalli, asini e muli accanto a migliaia di tende bianche; giorno e notte s’innalzavano i fumi biancastri, grassi, odorosi dei mille fuochi su cui si arrostivano “crasti”, agnelli castrati, ancestrale ricordo di antichi sacrifici pagani. Quei poveri animali venivano portati vivi e attaccati a dei pali piantati in terra: l'acquirente, a vista, li faceva scannare e fare a pezzi per nutrirvi la famiglia per quei due o tre giorni di camping d’epoca.

Divenne quasi un obbligo quel rito: “crastu”, vino e tante devozioni alla Santa Madre del Rosario. Sulle strade siciliane non si vedono più carretti e muli con la "varda”, ma l’antico pellegrinaggio a Tagliavia per l’Ascensione si continua a fare con la devozione popolare di una volta. Oggi sono furgoni, camioncini e “lapi” (Ape della Piaggio...) decorati con pitture, fregi e decorazioni sottratti agli antichi carretti.

L'Ascensione in Sicilia: anello tra cielo e terra

> L'Ascensione in Sicilia
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