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Parlare del caprino siciliano, cioè del formaggio fatto con il latte di capra, significa parlare della storia del formaggio in Sicilia. Oggi paradossalmente ne viene prodotta una quantità modesta, sotto forma di Caprino appunto e di Padduni di cui si parlerà in un'altra parte.

Il motivo della scarsa produzione è probabilmente dovuto agli allevamenti promiscui in cui si trovano oggi le capre, generalmente insieme alle pecore, per questa ragione il latte di capra viene spesso lavorato insieme al latte di pecora o a quello vaccino. D'altra parte le capre in Sicilia sono sempre state allevate per le carni e il latte più che per il formaggio.

Una certa tradizione di produzione di formaggi caprini è presente in alcune zone dell'Etna, dei Nebrodi e delle Madonie, dove sono prodotti con tecnologia simile a quella del Pecorino.

E pensare che le origini di questo formaggio risalgono al XI secolo a.C.; Omero descrive una strana bevanda a base di vino pramnio, miele, farina d'orzo e formaggio caprino grattato. Doveva essere una bevanda molto prelibata e tenuta in gran conto se il medico Macàone ed il vecchio Nestore se ne dissetavano al ritorno dalle battaglie (Iliade, libro 2°). Nell'Odissea, Omero entra nel dettaglio quando descrive l'incontro di Ulisse, avvenuto proprio in Sicilia, col pastore Polifemo, un gigante appartenente al popolo dei Ciclopi (Odissea, libro 9°). Ulisse ed i suoi compagni notarono all'interno della caverna di Polifemo una certa razionalità nell'allevamento del bestiame, indice sicuro di progresso per quei tempi:

"Dal peso dei caci i graticci piegavano; c'eran
steccati per gli agnelli ed i capretti, ed ogni età era separata
e chiusa: i primi nati da una parte, i secondi da una altra
ed i lattoni in un'altra parte ancora; tutti i boccali traboccavano
di siero, anche i secchi e i vasi nei quali mungevano".

Omero si sofferma ancora sul lavoro di Polifemo che:

"seduto, quindi, mungeva pecore e capre belanti ognuna
per ordine, e cacciò sotto a tutte il lattonzolo. E subito
cagliò una metà del candido latte e, rappreso, lo mise nei
canestrelli intrecciati; metà lo tenne nei boccali per averne
da prenderne e bere, che gli facesse da cena".

Anche Aristotele nel IV secolo a.C. si sofferma sulle tradizioni casearie siciliane esaltando il gusto del latte caprino mescolata con il latte vaccino o di pecora. Nel periodo romano, II secolo a.C., Varrone pone l'accento sulle qualità nutrienti del latte di capra o dei formaggi caprini. Un importante riferimento storico sempre sul Caprino Siciliano ci viene da Plinio il Vecchio il quale in "Naturalis Historia" ricorda che la Sicilia esportava a Roma il formaggio caprino di Agrigento "la grazia del quale è aumentata dal fumo".

Il Caprino Siciliano (detto anche Caciu di crapa) viene prodotto, mediante tecniche tradizionali, con latte caprino intero e crudo. Il latte coagula in una tina di legno a 34-35çC con caglio in pasta di capretto e/o di agnello in circa 45 minuti. La cagliata viene fatta spurgare con le mani dopo essere stata posta in canestri di giunco "fascedde" che lasciano sulla superficie una particolare modellatura. All'atto dell'incanestratura può essere aggiunto pepe nero in grani o fiocchi di peperoncino, viene quindi scottata per circa 4 ore con scotta calda, posta su un tavoliere di legno ad asciugare

Ciò che ne viene fuori è un formaggio a pasta dura e cruda di forma cilindrica a facce piane o lievemente concave, crosta bianca-giallognola, con superficie rugosa per la modellatura lasciata dal canestro, cappatura con olio, pasta compatta, bianca o paglierina con occhiatura scarsa, sapore piccante.

I luoghi

Caprino Siciliano

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