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L'altopiano calcareo degli Iblei digrada verso sud con verdi pascoli e campi coltivati fino a raggiungere le dune sabbiose, ricche di vegetazione spontanea, della fascia costiera. Questo comprensorio, che occupa il lembo sud orientale della Sicilia, presenta delle ricchezze storico-archeologiche e naturalistiche di notevole importanza: la cava d'Ispica, dove vive la volpe, il ramarro, l'upupa e dove cresce rigoglioso il noce, il carrubo ed il bagolaro; la riserva naturale della foce del Fiume Irminio, caratterizzata da un sistema di dune in cui spiccano esemplari secolari di ginepro coccolone e dove striscia indisturbato il famoso colubro leopardino (rettile); la riserva naturale Pino d'Aleppo, vicino il fiume Ippari, unico posto in Sicilia dove cresce spontaneo il Pino d'Aleppo e la riserva di Randello, con la sua pineta e la spiaggia di dune sabbiose.

I monti Iblei presentano questo caratteristico fenomeno delle cave: dei canyon stretti e profondi creati nel tavolato calcareo da antiche erosioni di natura fluviale, in cui la saltuaria presenza dell'acqua e la relativa inaccessibilità hanno permesso la conservazione di importanti nicchie ambientali. La storia di questi luoghi comincia proprio dalla cava d'Ispica, in cui si conservano fitte e continue tracce della presenza umana dal neolitico agli inizi del secolo scorso, e continua con le scenografie barocche tra cupole e torri campanarie, tra gli gnomi e gli animali fantastici intagliati nelle mensole che reggono i balconi e i cornicioni dei palazzi a Ragusa Ibla, Scicli e Modica.

La campagna ragusana, si muove tra i carrubi secolari, gli olivi, i vigneti ed i pascoli naturali aspri, ma ricchi di essenze foraggiere dove pascolano liberamente le bovine della razza Modicana. Campagna disegnata con la pietra calcarea dei caratteristici muretti a secco e punteggiata dalla tipica architettura rurale delle masserie iblee: piccoli borghi, costruiti interamente in pietra calcarea locale, gravitanti su una grande corte centrale; nelle masserie vi era magazzini provvisti di grandi fosse per la conservazione dei cereali, la stalla, il caseificio, l'abitazione del massaro, la piccola chiesetta e l'abitazione del proprietario che vi si recava soltanto nel periodo del raccolto e delle esazioni.

In tutto il territorio della provincia di Ragusa e in alcuni centri della provincia di Siracusa, durante la stagione foraggera, da novembre a maggio, si produce il Ragusano: un formaggio a pasta filata ottenuto con il latte crudo di vacca, utilizzando attrezzature tradizionali.

Questo formaggio, storicamente denominato caciocavallo ragusano, è uno dei prodotti caseari più antichi dell'isola. Il suo nome deriva dall'usanza di asciugare le forme di formaggio a cavalcioni a cavaddu di un asse. Il Ragusano dal sapore amabile e peculiare è stato oggetto sin dal XIV secolo di un fiorente commercio oltre i confini del Regno di Sicilia. Già nel 1515 Carmelo Trasselli, in "Ferdinando il Cattolico e Carlo V", racconta di una "esenzione dai dazi" anche per il caciocavallo ragusano e pertanto già oggetto di notevole commercio. Ancora il Trasselli, in "Note sui Ragusei in Sicilia", riporta documenti del "Notaio Gaetano, F. 106" che riferisce ancora del commercio via nave del caciocavallo. Nell'opera dell'abate Paolo Balsamo risalente al 1808 veniva sottolineata "la bontà dei bestiami di Modica" e dei "prodotti di cacio e ricotta, superiori di cinquanta per cento ai comuni, e di venticinque per cento ai migliori di Sicilia". Ancora Filippo Garofano nel 1856 cita la fama e la squisitezza dei caci e delle ricotte del ragusano.

Questa eccellenza casearia, nel 1955, è stata riconosciuta quale prodotto tipico dal D.P.R. n. 1269 del 30 ottobre, nel 1995 ha ottenuto la denominazione di origine (Decreto del 2 maggio) e, l'anno successivo, ha acquisito il riconoscimento comunitario della D.O.P., perdendo la denominazione storica di Caciocavallo.

Il contesto produttivo del ragusano è da considerare il fiore all'occhiello del settore lattiero-caseario regionale, con le sue 900 aziende sulle 1700 aziende siciliane. La produzione di latte vaccino, che nella campagna 2004/2005 ha raggiunto 1.400.000 quintali, rappresenta circa il 65-70% dell'intera produzione regionale. Questa zootecnia specializzata a carattere intensivo, è praticata da aziende che hanno raggiunto elevati livelli tecnici e organizzativi, abbandonando quella concezione isolazionista della propria azienda, in funzione di un aggregamento cooperativo.

La mandria da latte conta circa 22 mila vacche, in prevalenza appartenenti alle razze Frisona Italiana e Bruna Italiana, che hanno sostituito la vacca Modicana. Quest'ultima è una razza autoctona molto pregiata e dotata di grande rusticità, ma con performance produttive notevolmente inferiori rispetto alle prime (20 litri di latte al giorno contro i 60 litri della Frisona ed i 50 litri della Bruna).

Oggi, purtroppo, gli animali di razza Modicana sono sempre più rari nella zona: la stragrande maggioranza dei capi è il risultato d'incroci di bassissimo pregio e valore commerciale. La razza modicana, di fatto, è confinata in poche aziende a conduzione familiare, che producono modeste quantità di formaggio. La caseificazione può avvenire nelle aziende di tipo artigianale ma, gran parte del latte prodotto viene conferito all'industria. Si ricorda che nella provincia di Ragusa operano le principali industrie lattiero-casearie dell'Isola.

Il paniere dei prodotti caseari ragusani comprende la ricotta, le provole, il Ragusano D.O.P. e il Cosacavaddu ibleo. Affinché si parli di Ragusano, il latte, destinato alla trasformazione del formaggio, deve provenire da allevamenti ubicati nei territori dei comuni di: Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Modica, Monterosso Almo, Pozzallo, Ragusa, S. Croce Camerina, Scicli e Vittoria, in provincia di Ragusa e dei comuni di Noto, Palazzolo Acreide e Rosolini, in provincia di Siracusa; poi è necessario che le bovine, da cui deriva il latte, devono essere alimentate prevalentemente con essenze spontanee ed erbai dell'altopiano Ibleo, eventualmente affienati.

Infine le modalità di caseificazione sono severissime: il latte crudo di una o più mungiture viene filtrato e versato nella tina di legno, dove va aggiunto il caglio in pasta di agnello o di capretto, sciolto in una soluzione acquosa di cloruro di sodio (la quantità di soluzione impiegata deve essere tale da comportare un tempo di presa e di indurimento da 60 a 80 minuti). Il preparato quindi, va riscaldato alla temperatura di 34°C. Avvenuta la coagulazione, si procede, con l'ausilio della rotula, alla rottura della cagliata, che avviene in due tempi, sino ad ottenere granuli delle dimensioni medie di un chicco di riso. Completata la fase di rottura, la massa caseosa è lasciata sedimentare nel fondo della tina. In seguito, la tuma viene separata dal siero con l'ausilio di un mestolo "iaruozzu" e posta nelle "vascedde" (recipienti in legno) dove si lascia drenare su un tavolo di legno "mastredda", per circa 30 minuti.

In seguito, la pasta tagliata a fette, è trattata con il liquido risultante dalla lavorazione della ricotta o con acqua a temperatura di circa 80°C, coperta con un telo allo scopo di evitare bruschi abbassamenti della temperatura, e lasciata riposare per circa 85 minuti. Completata la fase di cottura, la massa caseosa si lascia spurgare nelle vascedde e poi le varie fette di cagliata vengono stratificate una sopra l'altra nella mastredda dove si lasciano riposare per un tempo di circa 20 ore. Trascorso il tempo necessario per il raffreddamento e l'ulteriore spurgo, la pasta viene tagliata a fette di circa 1 cm, posta in un recipiente di rame o di legno chiamato "staccio" e ricoperta con acqua calda (80°C circa), per un tempo di circa 8 minuti. A questo punto la pasta viene lavorata con molta cura, con l'ausilio di un bastone di legno appiattito "manuvedda", fino ad ottenere una forma sferica con la superficie esterna esente da smagliature.

La sfera di formaggio ottenuta, ancora calda, va riposta nuovamente nella mastredda e pressata con tavole di legno "muolitu e cugni" e rivoltata continuamente, fino ad assumere la caratteristica forma di parallelepipedo a sezione quadrata. Il formaggio resterà nella mastredda 12-18 ore prima di essere immerso nelle apposite vasche di cemento per la salamoia. La salatura, viene protratta per un tempo variabile in ragione delle dimensioni delle forme e non deve comportare un contenuto di cloruro di sodio sulla sostanza secca superiore al 6%.

La stagionatura, che va da un minimo di 3 ad oltre 12 mesi, avviene in locali ventilati con temperatura ambiente di 14-16°C, legando le forme a coppia con sottili funi e ponendole a cavallo di appositi sostegni e, comunque, in modo tale da garantire una perfetta aerazione dell'intera superficie della forma. I locali di stagionatura vengono detti "mazzè": locali freschi, umidi e ventilati a volte "interrati"; si riscontrano inoltre cantine e grotte naturali con pareti geologicamente naturali dove i formaggi a coppia vengono appesi "a cavallo" di una trave di legno legati con funi di "liama" o corde di "cannu", di "zammarra" o di cotone.

É prevista la cappatura con olio di oliva per i formaggi destinati ad una prolungata stagionatura. Il prodotto può essere affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura "affumicata".

Il formaggio Ragusano D.O.P. presenta un aroma gradevole, caratteristico delle particolari procedure di produzione ed un sapore decisamente gradevole, dal dolce vanigliato, poco piccante nei primi mesi di stagionatura (nei formaggi da tavola), tendente ai piccante ed al saporito con sentore di mandorla, a stagionatura avanzata (nei formaggi da grattugia).

La forma tipica è quella di un parallelepipedo a sezione quadrata, con angoli smussati. È possibile riscontrare sulla superficie delle leggere insenature dovute al passaggio delle funi di sostegno utilizzate nel processo di stagionatura. Ciascuna forma, il cui peso è di circa 16 kg, presenta una crosta liscia, sottile, compatta; di colore giallo dorato o paglierino tendente al marrone con il protrarsi della stagionatura per i formaggi da grattugia. Lo spessore massimo è di 4 millimetri.

Può essere cappata con olio di oliva. La pasta ha una struttura compatta, con eventuali fessurazioni che si riscontrano con il protrarsi della stagionatura, talvolta unite a scarse occhiature; al taglio il colore si presenta bianco tendente al giallo paglierino, più o meno intenso.

I luoghi

Il Ragusano D.O.P.: il fiore all'occhiello dei formaggi siciliani

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