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I piatti della festa
Il periodo a cavallo fra il 20 e il 25 di giugno fu considerato, già in epoca precristiana, “tempo sacro” : il sole, infatti, raggiungeva la sua massima declinazione rispetto all'equatore celeste. Ci ricorda Giuseppe Pitrè che anticamente, in tanti paesi siciliani, gli abitanti uscivano di casa per vedere “girare il sole” mettendo per terra un secchio oppure una bacinella pieni d’acqua che lo riflettevano. A Santa Ninfa, in provincia di Trapani, i più piccoli si divertivano a osservare il fenomeno attraverso un pezzetto di vetro affumicato.

Il calendario liturgico pose invece in questa data la commemorazione della nascita di san Giovanni Battista (tra i pochi di cui si ricorda la nascita e non la morte). Perchè il 24 giugno? Matematica: se, infatti, Natale è al 25 dicembre è chiaro che l’Annunciazione dovette avvenire nove mesi prima (tutto ciò basandosi rigorosamente su quanto è riportato nei Vangeli), scrisse Luca, infatti, che Maria fece visita a Elisabetta quando era al sesto mese di gravidanza; facile, quindi, il conto: Giovanni Battista nacque sei mesi esatti prima della nascita di Gesù!

Una volta la festività di San Giovanni era grande festa popolare, solo di poco inferiore per importanza al Natale. La spiegazione va cercata nelle usanze pagane che poi la Chiesa tentò (spesso con poco successo) di sradicare che collegavano San Giovanni Battista al solstizio. La risposta ce la danno i Vangeli. Al Battista furono attribuite queste parole, dette a proposito della purificazione: «voi stessi mi siete testimoni che ho detto: non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Ora questa mia gioia s’è compiuta: Egli deve crescere e io invece devo diminuire» (Giovanni 3,25-30). Quel sole che volge verso il sud dello zodiaco simboleggia il Battista, detto popolarmente “San Giovanni che piange”, mentre al 27 dicembre San Giovanni Evangelista, che a quella data si commemora, finì identificato come "San Giovanni che ride”.

Gli antichi greci, che conoscevano benissimo i due solstizi, avevano già definito “Porta degli uomini” quello estivo e “Porta degli dèi” quello invernale. Ce lo ricorda pure Omero nell’ Odissea quando parla dell’antro che c’era a Itaca, patria di Ulisse. Nella tradizione romana, invece, chi custodiva quelle porte era Giano, il “Bifronte”, definito da Microbio, scrittore della tarda latinità, «signore delle porte celesti». A Roma si festeggiava due volte l’anno e, giustamente, ai due solstizi. Che si sia fatta un po’ di cristiana confusione mischiando Ianus e Ioannes?

La festa di San Giovanni iniziava solitamente con la “vigilia”, mangiando fave fresche e pecorino. Ci ricorda il marchese di Villabianca, noto cronista di fatti palermitani, che «per la festa di San Giovanni si suol mangiare fave nuove... per ringraziare il Santo che ne ha impetrato da Dio la raccolta abbondante». Maccu, fritteddi, favi a cunigghiu, zuppe e minestre di fave trionfarono su tutte le tavole siciliane, sempre rendendo grazie a San Giovanni.

Si acquistava anche “tunnina di San Ciuvanni”, cioè l’ultimo (o penultimo) tonno pescato che era rimasto invenduto, quando ghiaccio e sistemi di refrigerazione erano ancora da inventare. Quel tonno maleodorante veniva bollito conservato sott’olio con pepe in grani e foglie d’alloro.

Sulle tavole palermitane si festeggiava con la frittura di “maccarruneddu” o "fragagghia”, pescetti modesti per dimensione e prezzo, e chi poteva comprava le prime pesche, dette appunto di San Giovanni: bianche e profumate, da mettere assieme al vino per una sicula sangrìa.

La festa di San Giovanni battista in Sicilia: il Giovanni che piange

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